Osteoporosi severa: in Regione Puglia serve abbandonare la logica dei silos nella gestione della spesa farmaceutica
Nel primo tavolo di confronto regionale organizzato da Fondazione Charta le proposte degli esperti per investire al meglio i fondi del PNRR tra integrazione ospedale-territorio e innovazioni terapeutiche
30 SET – Gestire l’innovazione terapeutica nell’ambito dell’osteoporosi. È stato questo l’argomento al centro del primo incontro virtuale di una serie di tavoli regionali organizzati da Fondazione Charta dal titolo “Open discussion sul valore delle nuove terapie farmacologiche nel trattamento dell’osteoporosi severa in donne in post-menopausa ad alto rischio di frattura”.
Il convegno ha voluto affrontare la tematica in Regione Puglia e ha visto la partecipazione di Achille Caputi, Professore ordinario Farmacologia, Università di Messina; Paolo Cortesi, Farmaco-Economista, Università degli studi Milano-Bicocca; Fondazione Charta; Fulvio Moirano, CEO, Fucina Sanità; Francesco Colasuonno, Farmacista, Servizio Politiche del Farmaco, Regione Puglia; Ada Corrado, Professore Associato di reumatologia dell’Università di Foggia; SC di Reumatologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria OORR Foggia; Alfredo Scillitani, Dirigente medico della unità operativa complessa di Endocrinologia, Casa sollievo della sofferenza, San Giovanni Rotondo (FG); Vincenzo Gigantelli, Direttore Dipartimento Assistenza Territoriale ASL BARI; Direttore Distretto Socio-Sanitario n. 14 Putignano; Presidente Associazione Scientifica CARD PUGLIA; Cataldo Procacci, Farmacista, Dipartimento Farmaceutico, ASL BAT (Barletta-Andria-Trani); Rossella Moscogiuri, Direttore Dipartimento Farmaceutico e Direttore UOC Farmacia Ospedaliera Presidio Ospedaliero Centrale di Taranto, ASL Taranto; Domenica Daniela Ancona, Direttore del Dipartimento Farmaceutico, ASL BAT (Barletta-Andria-Trani); Marco Benvenuto, docente di Public Management presso Dipartimento di Scienze dell’Economia, Università del Salento, Esperto scientifico esterno Agenzia Regionale per la Salute e il Sociale (AReSS), Regione Puglia.
Per poter parlare di innovazione terapeutica e di costo efficacia è necessario inquadrare prima la patologia, le sue risultanze sul Servizio sanitario nazionale e sui pazienti ed i precedenti trattamenti. L’osteoporosi è una malattia sistemica dell’apparato scheletrico, caratterizzata da una bassa densità minerale e dal deterioramento della micro-architettura del tessuto osseo, con conseguente aumento della fragilità ossea. Questa situazione porta ad un aumentato rischio di frattura (in particolare di vertebre, femore, polso, omero, caviglia) per traumi anche minimi. L’incidenza di fratture da fragilità (FF) aumenta con l’aumentare dell’età, particolarmente nelle donne. Nel corso della vita, circa il 40% della popolazione incorre in una frattura e in Italia si stima che l’osteoporosi colpisca circa 5.000.000 di persone, di cui l’80% sono donne in post menopausa. Le FF per osteoporosi hanno rilevanti conseguenze, sia in termini di mortalità che di disabilità motoria, con elevati costi sia sanitari sia sociali. Inoltre, l’effetto della terapia antifratturativa è tanto maggiore quanto maggiore è il rischio iniziale.
Si capisce bene quanto sia importante per questa patologia l’azione di prevenzione primaria e secondaria. Come precisato da Achille Caputi, il rischio di una seconda frattura osteoporotica aumenta durante l’intero follow up e il rischio rimane imminente anche negli anni successivi. Inoltre, nelle donne in menopausa, una frattura, indipendentemente dall’essere traumatica o meno, comporta un rischio aumentato di nuova frattura. Ecco perché è importante intervenire tempestivamente con una terapia farmacologica: “Se andiamo a considerare i trial clinici vs placebo o vs vitamina D, vediamo che qualunque trattamento oggi disponibile comporta una riduzione del rischio di rifrattura. Possiamo quindi dedurre – ha precisato Caputi – che i soggetti che hanno già subito una frattura da fragilità sono maggiormente a rischio di ulteriori fratture e che il rischio aumenta al crescere del numero e della severità delle precedenti fratture. Inoltre, il rischio sembra elevato immediatamente dopo la prima frattura specialmente nell’anno seguente e tale condizione e rimane fino ai 10 anni successivi”. I farmaci che sembrano agire in modo più efficace nella prevenzione di una rifrattura “sono i farmaci anabolizzanti come la teriparatide o il romosozumab”, ha proseguito l’esperto.
Ma facciamo un passo indietro.“L’osso viene continuamente rimodulato: abbiamo due distinti meccanismi, uno di modellamento osseo in cui la formazione dell’osso inizia direttamente dagli osteoblasti su superfici quiescenti e poi abbiamo un rimodellamento osseo che inizia nel momento in cui l’osso comincia ad essere distrutto dagli osteoclasti”, ha spiegato Caputi. Questo meccanismo, che si ripete nel tempo, può subire modificazioni con il passare del tempo. La premessa è doverosa per inquadrare meglio l’argomento. Negli anni la ricerca scientifica è infatti riuscita ad intervenire, grazie a farmaci specifici, su questo meccanismo. Per molto tempo la cura dell’osteoporosi si è basata su una classe di farmaci cosiddetta ad antiriassorbimento, farmaci questi di prima linea che intervengono sugli osteoclasti e che riducono il rischio di fratture, ma che non intervengono sulla stimolazione degli osteoblasti e quindi sulla ricostruzione dell’osso. Con l’innovazione, grazie ai farmaci anabolici, siamo arrivati anche a questa nuovo approccio terapeutico. Il problema di questi ultimi è che “dopo aver eseguito una terapia con anabolici, sarà necessario un farmaco antiriassorbimento per evitare il declino della densità ossea”.
L’ultima frontiera dell’innovazione ci fa capire meglio quanto sia necessario un radicale cambiamento nel trattamento delle fratture da fragilità. “Nel processo di modellamento e rimodellamento dell’osso agisce anche la sclerostina, una glicoproteina prodotta dagli osteociti, la cui attività è quella di inibire l’attività degli osteoblasti. Bene, inibire con un anticorpo monoclonale la sclerostina porta naturalmente ad un aumento di formazione dell’osso”. Appare evidente quindi che “nei pazienti con rischio molto elevato (di rifrattura ndr), la terapia con farmaci ad attività anabolica o bone builder deve essere considerata di prima linea”, ha precisato Caputi. “Studi di comparazione tra farmaci anabolici/bone builder e anti-riassorbitivi suggeriscono inoltre di iniziare subito la terapia anabolicain questi pazienti ad alto rischio. Non solo, se confrontiamo i farmaci anabolizzanti con l’anticorpo anti-sclerostina, notiamo che quest’ultimo agisce molto prima ed in maniera molto più rapida con conseguente beneficio per i pazienti”.
Dello stesso parere è apparso Alfredo Scillitani che ha spiegato come “con l’andare avanti dell’età la formazione e il riassorbimento sono sostanzialmente in equilibrio, mentre nell’osteoporosi menopausale il bilancio è in negativo. Con dei farmaci antiriassorbimento, quindi anticatabolici, nel breve tempo si ha un recupero della massa ossea”, ma tale recupero non permane nel lungo periodo. “I farmaci anabolici invece comportano un bilancio nettamente positivo non solo con un rimodellamento positivo, ma anche con un’azione di nuova formazione ossea”, ha detto Scillitani. “Diversi studi dimostrano che i farmaci anabolici sono più efficaci sulle fratture imminenti, con una riduzione significativa della incidenza di nuove fratture, sia rispetto a placebo che rispetto a farmaci antiriassorbitivi”. L’anticorpo monoclonale antisclerostina, poi, porta “ad un aumento della formazione e ad una riduzione del riassorbimento osseo. Questo anticorpo, il romosozumab, potrebbe essere utilizzato in prevenzione, per il trattamento dell’osteoporosi in donne in post menopausa, in cui l’incidenza di nuove fratture vertebrali si riduce nel tempo. Inoltre è anche efficace nella transizione cioè in donne in post menopausa con osteoporosi già trattate con bifosfonati”, ma le evidenze scientifiche più importanti per il romosozumab riguardano la sua capacità di “aumentare la formazione ossea e al contempo di ridurre il riassorbimento osseo”. Un netto cambiamento di paradigma nel trattamento dell’osteoporosi che, anche grazie ai fondi del PNRR, potrebbe essere accolto con favore.
I costi sono ovviamente l’altra faccia della medaglia. In ottica di carico economico “l’impatto maggiore è dato dalle fratture”, ha rimarcato Paolo Cortesi. Queste comportano dei costi “sia nel breve periodo, per la gestione della frattura stessa, sia nel lungo periodo per la gestione delle conseguenze. Naturalmente ci sono differenze a seconda del sito di frattura, con la frattura all’anca che rappresenta una delle sedi più gravi perché quasi sempre comporta ricovero”, ha proseguito l’esperto. L’ospedalizzazione è l’aspetto principale legato ai costi diretti a carico del Servizio sanitario nazionale. “Rispetto ad altri paesi europei, in Italia la durata media di ospedalizzazione è molto alta, attestandosi sui 19 giorni, con un costo medio per le fratture d’anca di circa 21 mila euro per paziente. Per quanto riguarda i costi associati alla frattura – ha specificato – in Italia parliamo di circa 9 miliardi e mezzo all’anno. Questi costi, facendo una stima, potrebbero arrivare a 12 miliardi nel 2030”. A questi costi si aggiungono quelli legati alla perdita di produttività dei soggetti con osteoporosi. Nonostante la maggior parte delle fratture da fragilità si verifichi in pazienti anziani, quando ciò avviene in età lavorativa, in Italia, si stima “che si perdano circa 95 giorni lavorativi per mille individui”. A questo si legano anche i costi riguardanti l’assistenza del paziente da parte di famigliari e caregiver.
Migliorare la cura dell’osteoporosi puntando sulla prevenzione delle fratture e quindi ridurre i costi a queste associati sono una sfida complessa per i servizi sanitari, ma è anche una di quelle sfide che passa necessariamente dall’innovazione terapeutica. “Da uno studio svedese condotto su una sequenza di trattamenti basati sull’anticorpo monoclonale romosozumab”, ha spiegato Cortesi, “si evince una riduzione dei costi legati alle morbidità e alle ospedalizzazioni, un aumento di investimenti in termini di spesa farmaceutica a fronte però di un aumento di QALY, cioè anni di vita aggiustati in base alla qualità, e un aumento di aspettativa di vita. Sono fondamentali quindi approcci atti a prevenire le fratture per diminuire questo carico gestionale di risorse”.
L’altro aspetto riguardante la patologia che purtroppo spesso viene sottovalutato riguarda la sfera psicologica, come ben sottolineato da Ada Corrado. L’osteoporosi può infatti portare anche a disturbi quali “depressione, bassa autostima, isolamento sociale, disturbi del sonno e ritiro da attività lavorativa”. Ecco, “tale aspetto – ha precisato l’esperta – non sempre è preso in considerazione adeguatamente. La depressione infatti non solo è una conseguenza della frattura, ma diversi studi hanno dimostrato che potrebbe avere un effetto negativo anche sul metabolismo osseo”. È necessario quindi riuscire ad identificare precocemente i pazienti a rischio di fratture, con specifici esami di riferimento, per avviare i trattamenti appropriati e prevenire così anche le ricadute sociali di questa patologia.
Il cambio di paradigma deve essere affrontato non solo per ciò che riguarda la gestione della terapia farmacologica, va fatto anche a livello organizzativo dall’alto. A ravvisare però qualche perplessità sulle effettiva possibilità di un cambiamento vero è Fulvio Moirano. “C’è un problema di comprensione tra i vari operatori che si occupano di questi temi, dal ministero della Salute e dalle Regioni, da una parte, e dal ministero dell’Economia dall’altra”. Da sempre i decisori hanno posto la loro attenzione sul problema dei costi e della spesa ma con l’arrivo dei 15,6 miliardi previsti per la Missione salute dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sembra che “tutto il sistema sanitario pensi che il tema della compatibilità economica non ci sia più”, ha precisato Moirano. “A mio parere, invece, c’è il rischio che ci sia anche di più nelle fasi successive se non saremo in grado di utilizzare questi finanziamenti. Se metteremo in campo iniziative che prive della compatibilità economica che pensiamo, ci troveremo solo costi aggiuntivi senza avere più il finanziamento”. Una occasione questa più unica che rara che sarebbe grave non saper cogliere.
Ma perché parliamo di problema di governance. Come fa notare Moirano, la pandemia ha messo in evidenza un tema importante: la deroga delle norme e delle leggi preesistenti. “Lo stato ha dovuto derogare sia in termini di assunzioni sia in termini di acquisizioni di beni e servizi, prendendo atto quindi che le procedure che avevamo non erano efficaci. C’è quindi da fare un ripensamento di tutte le procedure sia per l’introduzione dell’innovazione sia per la gestione della quotidianità”, ha precisato ancora l’esperto. “Serve ora mettere in pratica ciò di cui si parla da anni”, cioè rendere concreti gli interventi sul territorio. Per fare questo c’è bisogno di “riempire di contenuto le case di comunità, previste nel PNRR, per fare della prevenzione primaria e secondaria sul territorio. Stiamo parlando di 8milioni di pazienti cronici, stiamo parlando di una patologia cronica che avrebbe possibilità di prevenzione”.
La via da percorrere delineata da Moirano sarebbe quella di eliminare totalmente tutte le attività non necessarie all’interno dell’ospedale per poter recuperare i fondi da investire poi nel territorio con particolare attenzione alla medicina generale.
Segue la linea del dubbio anche Vincenzo Gigantelli il quale auspica però anche una sorta di Rinascimento della sanità italiana portata proprio dagli investimenti del PNRR. “Noi stiamo parlando di condizioni croniche”, ha ribadito Gigantelli. I destinatari della corretta gestione di queste situazioni sono “gli attori del territorio i quali devono lavorare in maniera coordinata e sinergica con i colleghi del livello ospedaliero. Parliamo quindi dell’area geriatrica, dell’area medica e di tutte le discipline che possono interessare le patologie osteoporotiche. La cornice che, in Italia, doveva rappresentare il piano organizzativo della gestione della cronicità si riferisce al Piano nazionale della cronicità che ha ormai compiuto 5 anni e questi anni sono trascorsi senza che un rimodellamento del Servizio sanitario nazionale vi sia stato. Questo perché il processo che anche qui in Regione Puglia è stato avviato, per una serie di fattori non è mai partito del tutto”, ha detto l’esperto.
Inoltre, “il Piano nazionale della cronicità, nella parte seconda, di malattia osteoporotica non parla eppure questa è una patologia che ha rilevanza epidemiologica, ha aspetti di gravità e invalidità e richiede un peso assistenziale con costi economici diretti e indiretti. A volte non si ha bisogno di scrivere un PDTA per avere contezza delle cose da fare, a volte bisogna soltanto imparare a leggere i bisogni dei cittadini, bisogni che si aggravano con l’età, con le condizioni patologiche e con le comorbidità”. Oggi con i fondi del PNRR a disposizione questo discorso va tenuto ben presente per investire nel modo più efficiente. “Questo è un piano che deve trasformare le strutture già esistenti in strutture di prossimità, in case della comunità”, ha proseguito Gigantelli. Per la Puglia l’esempio è quello dei presidi territoriali di assistenza (PTA), “ex presidi ospedalieri riconvertiti a un uso territoriale che ben si prestano a diventare il luogo fisico di quella gestione integrata che è necessaria per la malattia osteoporotica come per tutte le patologie croniche che richiedono un follow up nel tempo. Il primo passo, quindi, è una riforma territoriale da cui deriveranno degli standard che non siano solo frutto di calcolo matematico, ma anche il frutto di una azione pensata e monitorata perché diventi un’azione concreta”, ha concluso Gigantelli.
In Regione Puglia, ha aggiunto Francesco Colasuonno, “abbiamo una Commissione tecnica Regionale dove si sta cercando di spingere la promozione di iniziative di integrazione tra specialisti ospedalieri e ambulatoriali e medici di medicina generale e pediatri di libera scelta”. Per quanto riguarda la spesa farmaceutica per le malattie osteoporotiche, “in Puglia di aggira intorno ai 510 milioni” con un’ampia fetta, circa 256 milioni, dedicati alla vitamina D e analoghi e circa 138 milioni per farmaci quali teriparadite e anticorpi monoclonali. Analizzare questi dati, ha precisato Colasuonno, è importante per cercare di ottimizzare gli interventi di spesa che attualmente sono focalizzati su una maggiore “quantità di prescrizioni di farmaci meno costosi”. La sfida sarà quindi quella di integrare le innovazioni farmacologiche in arrivo.
L’importanza del datoè stata sottolineata anche da Cataldo Procacci che ha posto l’accento anche sul ruolo che il farmacista è chiamato ad assolvere nella gestione del consumo di risorse farmaceutiche. Nell’ottica di un cambiamento di paradigma del sistema sanitario, ha spiegato Procacci, serve ripensare la spesa farmaceutica nell’ottica degli esisti di patologia “per poter razionalizzare le risorse senza dover operare tagli lineari. Inoltre – ha proseguito l’esperto – si riduce l’eterogeneità in quanto attraverso le evidenza andiamo a creare dei percorsi condivisi dai vari specialisti per garantire l’efficientamento delle cure”.
Per ridurre l’impatto sociale dell’osteoporosi sono stati pensati diversi modelli multidisciplinari di presa in carico. “I Fracture Liaison Service (FLS) rappresentano il modello coordinato di prevenzione secondaria delle fratture più comune ed economicamente e clinicamente efficace”. I FLS, ha precisato ancora Procacci, sono percorsi diagnostico-terapeutici, implementati all’interno delle strutture sanitarie, con l’obiettivo di ridurre il treatment gap nei pazienti con fratture osteoporotiche e migliorare la comunicazione tra le diverse figure sanitarie coinvolte. “È stato sviluppato un set di KPI con l’obiettivo di dimostrare le aree di miglioramento del servizio e misurare l’impatto degli interventi di servizio all’interno di una metodologia plan-do-study-act”. Tra gli indicatori si fa riferimento all’utilizzo di farmaci per l’osteoporosi con particolare riguardo all’appropriatezza terapeutica e alla tempestività di intervento a seguito di un evento sentinella. Questo anche per intervenire su quelli che sono i costi dovuti alle ospedalizzazioni per fratture.
Nell’ambito dell’osteoporosi, ha spiegato Procacci, “l’obiettivo della terapia farmacologica è quello di ridurre il rischio di fratture ed una corretta individuazione dei soggetti da trattare costituisce il primo fondamento per un approccio razionale alla terapia. Come abbiamo visto i farmaci approvati per l’osteoporosi sono gli antiriassorbimento e gli anabolizzanti, di cui fanno parte teriparatide e romosozumab, e le evidenze ci dicono che nel paziente osteoporotico con pregresse fratture vertebrali o femorali ed in quelli con fratture non vertebrali o femorali con dimostrata riduzione della densità ossea, il trattamento in prevenzione secondaria è essere ampiamente giustificato. Alla luce di quanto detto nella Asl BAT (Barletta-Andria-Trani), al 2020 possiamo quantificare la spesa per frattura in circa 3 milioni e mezzo, accompagnata da una scarsa aderenza al trattamento (43%). Facendo però una stima, ipotizzando un aumento dell’aderenza al trattamento fino all’80%, a fronte di un aumento della spesa per farmaci avremo una riduzione dell’importo totale per accesso al pronto soccorso a seguito di frattura pari a quasi 700mila euro e una diminuzione degli accessi in PS quasi del 30%”.
In conclusione quindi, “l’evoluzione del Sistema sanitario impone oggi una evoluzione della misurazione dei consumi, correlando gli stessi agli esiti clinici dei trattamenti. Evidenze scientifiche hanno dimostrato come disporre di indicatori di aderenza delle modalità prescrittive offra l’opportunità di migliorare all’interno di ogni singola realtà locale processi di governo clinico e di monitoraggio interno, sia per il paziente sia per Servizio sanitario nazionale. Nel prossimo futuro avremo bisogno di indicatori sempre più specifici per ciascuna patologia per estrarre dei dati e generale beneficio e risparmio. Tutto ciò deve essere frutto di un lavoro condiviso da parte di ASL, Regioni, specialisti e medici di famiglia, affinché si realizzi un progetto di autovalutazione e per l’efficientamento del Ssn”.
“Non ci può essere una buona organizzazione se questa non poggia su solide competenze”, ha aggiunto Rossella Moscogiuri. “L’attività del farmacista è di tipo integrato tra attività regolatoria, di vigilanza e di informazione. È dunque indispensabile il raccordo tra farmacia territoriale e farmacia ospedaliera, integrazione che spesso non si è realizzata. C’è necessità di una complessiva riorganizzazione e penetrazione sul territorio, di fare team building e lavorare per l’appropriatezza e per migliorare la qualità dell’assistenza. Naturalmente serve anche un rafforzamento della massa critica per far fare un salto di qualità a quello che è un contesto che non ha più bisogno di dettami formativi”. Nella realtà di Taranto “per quanto riguarda i farmaci per l’osteoporosi, partiamo sempre dal regolatorio perché non essendoci ancora una forte volontà di creare una integrazione forte, ci muoviamo ancora su decreti amministrativi che sono su base verticale”, ha spiegato Moscogiuri. “Per quanto riguarda l’aderenza, i farmaci iniettabili per l’osteoporosi favoriscono il paziente e favoriscono l’aderenza al trattamento e noi dovremmo investire 0,7 milioni di euro in più in farmaci per poter avere un controllo delle fratture”.
Sul tema delle fratture è ritornata anche Domenica Daniela Ancona. Questo, ha detto, è un “importante problema per la salute pubblica perché associato a comorbidità e mortalità”. È auspicabile “prevedere una più efficace gestione delle patologie croniche cercando di evitare il più possibile gli accessi nosocomiali e puntare di più sull’assistenza territoriale per cui i fondi del PNRR dovrebbero essere investiti”, ha precisato. Per migliorare la gestione integrata delle patologie croniche occorre quindi “investire su aderenza terapeutica e superare la logica a silos che ancora oggi attanaglia il nostro Servizio sanitario nazionale”.
Per Marco Benvenuto il tema dell’innovazione non può essere scisso da quello della ricerca: “ricerca e innovazione sono un binomio che ricade sull’assistenza e sui servizi”, ha detto l’esperto. “Sappiamo che il paziente con osteoporosi è un paziente complesso quindi siamo nel nuovo paradigma della complessità e della cronicità. Se poi aggiungiamo che ad ogni cronicità è associata una policronicità, i dati di spesa si triplicano. C’è necessità di stabilire percorsi di pianificazione che non possono essere più solo modelli. È arrivato il momento di studiare un modello di lavoro nuovo che punti al confronto”, ha concluso Benvenuto perfettamente in linea con quanto detto anche da Moscogiuri e colleghi.
Marzia Caposio